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Storie di Briganti

La Maremma

La Maremma e le sue Storie

Domenico Tiburzi : il Robin Hood di Maremma ed il Re del Lamone.

Nacque a Cellere il 28 maggio 1836 da Nicola e Lucia Attili.

Piuttosto basso di statura (160 cm), cui il soprannome di Domenichino, ma definito come attraente con capelli folti e neri ed occhi castani. Pastore e buttero (e cosa altro poteva fare?) a 23 anni sposò Veronica Dell’Aia, una sedicenne molto carina che gli dette due figli di cui ignoriamo la sorte. Piccoli precedenti a parte la storia criminale di Domenico Tiburzi ha inizio nel 1867 quando il 24 ottobre uccise Angelo Del Bono, guardiano del marchese Guglielmi, reo di averlo multato di ben 20 lire perchè sorpreso a raccogliere le spighe di grano a terra nel campo del marchese, cosa per altro possibile per le leggi del Granducato, ma vietata da quelle del Regno Italiano!

Il reato era ridicolo ... e la multa uno sproposito ... tanto valeva uccidere il povero Angelo Del Bono.

Dopo l'omicidio si diede ovviamente alla macchia fino al 1869 quando fu arrestato e condannato dal Tribunale di Civitavecchia a 18 anni di carcere da scontarsi nel bagno penale di Corneto, presso Tarquinia.
Nel 1872 rocambolescamente evase da Cornero insieme a Domenico Annesi detto l'"Innamorato" e Antonio Nati detto il "Tortorella" o "Totarello". Tiburzi, come tutti gli animali braccati, tornò verso le macchie tra il Lago di Bolsena, Montalto di Castro e Capalbio che conosceva benissimo e qui rimase in latitanza per quasi trentanni.
Nelle macchie del Farnese incontrò Domenico Biagini di Farnese detto il "curato" perchè molto credente.
Tiburzi e Biagini si unirono a David Biscarini di Marsciano (PG) e Vincenzo Pastorini detto "Cenciarello" o "Ferro" di Latera formando una temibile banda di briganti di cui il Biscarini era il capo banda.
In questi anni la fedina penale di Tiburzi si arricchisce con le estorsioni ai danni di David Bonpadre e dei fratelli Balestra, con il sequestro di Luigi Bartolini, il ferimento dell'amante Nazarena Caporali e l'omicidio di Domenico Cesaroli. Il 12 dicembre 1877 David Biscarini fu ucciso dai Carabinieri di Canino e Farnese presso la grotta del Paternale. Sia il Biagini, che venne leggermente ferito, che il Pastorini, che il Tiburzi, in mutande, riescono a scappare. Da questo momento il comando della banda passò nelle mani di "Domenichino".

Nel 1878 Giuseppe Basili detto "Basiletto" si aggregò alla banda del "Domenichino" composta, oltre da Tiburzi, dal Biagini e dal Pastorini.
La storia ci dice che a marzo del 1879 la banda era unita ... ma per poco perchè prima il Basili e poi il Pastorini furono uccisi da Tiburzi. Il Basile pagò a Cerreta Piana la sua eccessiva violenza verso i mercanti e le sue bravate ai danni dei contadini.
Il Pastorini pagò perchè lo metteva sempre in ridicolo raccontando a troppo spesso della sua fuga in mutande dalla grotta del Paternale. Il Pastorini fu ucciso in un duello su un aia a Santa Barbara, fulminato dalla doppietta di Tiburzi.
Era iniziato il regno del "Livellatore" Domenico Tiburzi.
Una delle attività, preferite del Tiburzi erano le estorsioni ed, a farne le spese, fu Don Antonio Lucchetti a cui venne incendiato il fienile. Ormai sia su Tiburzi e sia sul Biagini la taglia e gli anni di carcere da scontare erano notevoli.
Il 12 settembre 1882 nelle vicinanze di Farnese il boscaiolo Antonio Vestri di Farnese, condusse i Carabinieri presso il rifugio dei briganti, che però riuscirono a fuggire. Nel marzo 1883 il Vestri fu ucciso di fronte a testimoni Vincenzo Cencetti e Serafino Cailli in località La Farma del Lamone. La morte del Vestri avvenne con una vera e propria esecuzione in cui il Biagini gli sparò addosso una schioppettata e Tiburzi lo sgozzò. Però la cosa più macabra non fu l'uccisione del Vestri ma quella, per sventramento, dei due somari con cui stava trasportando la legna. Furono gli stessi Tiburzi e Biagini a spiegare agli esterrefatti Cencetti e Cailli il perchè del gesto:

"Andate a Farnese e dite che gli autori del misfatto siamo stati noi. Ora Farnese ha uno sfaciamagazzini di meno. Abbiamo ucciso i somari perchè ne eravamo i padroni, avendoli ceduti al Vestri in pegno per il suo manutengolismo per dieci anni".

Per l'uccisione del Vestri sia Tiburzi che Biagini furono condannati a morte con sentenza del 12 dicembre 1993 della Corte di Assise di Viterbo. Nel maggio 1888, Tiburzi uccise Raffaele Pecorelli, colpevole di aver rubato un maiale al nipote Nicola (Bartolomeo per Alfio Cavoli).
Nel loro vivere alla macchia Tiburzi e Biagini incontrarono due altri briganti: Luigi Demetrio Bettinelli detto il "Gigione" o il "Principino" di Porretta Terme e Luciano Fioravanti di Bagnoregio.
Biagini era lo zio di Fioravanti e per un poco formano un bel quartetto di tagliagola fino a che Tiburzi e Biagini decidono che gli atteggiamenti e la voglia di primeggiare del Bettinelli non era più gradita. Inoltre il "Gigione" molestava le donne e questo era un reato gravissimo nel regno del Livellatore. Il 13 giugno 1889 avvenne l'iniziazione al delitto di Luciano Fioravanti con l'uccisione, sotto ordine di Tiburzi e Biagini, del Bettinelli. A onor del vero successivamente Tiburzi e Biagini scagionarono dal delitto il Fioravanti ma la storia ci dice che a Montauto fu la doppietta del Fioravanti ad uccidere il Bettinelli.

Il 6 agosto 1889 il Biagini muore sotto i colpi dei Carabinieri, nella macchia di Gricciano sul Fiora.

In questo caso la storia non è univoca in quanto Adolfo Rossi nel suo libro "Nel regno di Tiburzi" indica come causa di morte del Biagini un più banale infarto causato dalla vista dei Carabinieri. Il Biagini aveva ormai 67 anni e da venti viveva alla macchia.

Il 22 giugno 1890 in Pian di Maggio Tiburzi uccise Raffaele Gabrielli, il fattore dei marchesi Guglielmi.
Questo, per molti, è l'ultimo omicidio attribuito con certezza a Tiburzi.

L'omicidio, che avvenne di fronte a circa 80 contadini mentre mietevano il grano, fu fatto perchè, secondo Tiburzi e Fioravanti, il Raffaele Gabrielli era colpevole di non aver avvertito il Tiburzi stesso della retata dei Carabinieri a Gricciano che portò alla morte del Biagini. Il Tiburzi ed il Fioravanti (che ricordiamo era il nipote del Biagini) uscirono dalla macchia e chiamarono ad alta voce il fattore che stava facendo colazione insieme ai mietitori.

"Fermati, disse una volta ad un fattore che aveva fatto ammazzare dai Carabinieri il suo amico Biagini. Chi non ha da fare vada a farsi una bevuta d'acqua fresca perchè, oggi a Pian di Maggio c'è il fuoco. Le scarpe del Biagini erano scarpe da poveraccio con tante bollette, tante come le stelle, fattore, adesso le scarpe sono nella fossa con lui, le bollette sono tutte dentro il mio trombone, ma sulla tua faccia diventeranno stelle." e gli sparò alla testa uccidendolo.

Nel 1893 il fenomeno del brigantaggio interessava larghe parti d'Italia ed il Governo Giolitti, ordinò ai vari Prefetti di intervenire senza più pietà.
L'idea era semplice colpire la rete di fiancheggiatori per fare terra bruciata ai briganti.
Mandati di comparizione e mandati di arresto colpirono tra gli altri (e più famosi) il Conte Niccolò Piccolomini ed il Principe Tommaso Corsini. Nel complesso furono processati, con l'accusa di favoreggiamento, in 150 a Viterbo.
La brillante operazione si concluse con Tiburzi libero e decine di famiglie nei guai in quanto la maggioranza dei 150 condannati erano contadini e pastori ed a molte famiglie venne a mancare, con il loro arresto, il mezzo di sostentamento.
La storia ci ricorda che il Giolitti, saputo dei fatti, si indignò per la situazione assolutamente non sotto controllo che si era venuta a creare in Maremma. La fine del regno di Domenico Tiburzi la si deve alla costanza del Capitano dei Carabinieri Michele Giacheri, famoso ed esperto di lotta al brigantaggio, a Lui si devono le catture del Brigante francesco Simeone e del Brigante Gaeta in Calabria e l'annientamento della banda della "Compagnia della teppa" in Lombardia. Sotto la copertura di eseguire rilievi di topografia, insieme al tenente Silvio Rizzoli, il Giacheri si intrufolò nei territori preferiti dal Tiburzi studiandone gli avvistamenti e gli spostamenti quasi marcando e circoscrivendo l'area di azione.

La notte tra il 23 ed il 24 ottobre 1896 era buia e tempestosa.

Il Brigadiere Demetrio Giudici ed i Carabinieri Raffaele Collecchia ed Eugenio Pasquinucci era di pattuglia tra le macchie tra la Marsiliana e Capalbio. Stavano per tornare in caserma quando una soffiata giunse al Carabiniere Ciro Cavallini.
Tiburzi e Fioravanti avrebbero passato la notte in uno dei casolari dei dintorni di Capalbio.
Il Cavallini insieme al Carabiniere Pasquale Mazzocchi si aggregarono alla squadra del Brigadiere Giudici ed in cinque iniziarono la caccia. Il folclore ci dice che sotto una pioggia torrenziale, molti coloni vennero svegliati e molti poderi perquisiti a fondo alla ricerca dei due briganti, fino a che, verso le 3:30 del mattino presso il podere di Marco Collacchioni sito sul poggio delle Forane ed abitato dalla famiglia di Nazzareno Franci finisce la latitanza del Tiburzi.

Al "chi va la" dei Carabinieri (o del Tiburzi stesso) parte lo scontro a fuoco.

Tiburzi e Fioravanti erano armati di fucile a retrocarica e fucile a canne mozze, almeno una pistala a testa, oltre agli inseparabili coltelli.

I Carabinieri spararono sulle finestre e sulla porta crivellandola di colpi quando il Tiburzi uscì allo scoperto sparando e colpendo in pieno petto il Brigadiere Giudici troppo esposto e ferendo gravemente altri due militari.
Tiburzi fu colpito alla gamba sinistra dal Carabiniere Collechia.
Tiburzi, ormai caduto a terra, fece l'ultimo gesto di estrarre la pistola finendo crivellato dal fuoco degli altri militi.
Con un gesto di pietà tipico dell'epoca gli fu inferto il colpo di grazia alla nuca.
Esiste anche una versione alternativa della morte di Domenico Tiburzi:

"pur di non cadere prigioniero di uno Stato da sempre avvertito come nemico, quando si vide spacciato, Tiburzi preferì uccidersi da solo. Estrasse la pistola dalla fondina, se la puntò alla testa e premette il grilletto accasciandosi sul prato, mentre tanti colpi gli spaccavano le gambe." Anche se non è scritto in nessun testo, si può anche pensare che Domenico Tiburzi, vecchio e mangiato dalla malaria, si sia sacrificato per permettere a Luciano Fioravanti "figlioccio" di venti anni più giovane di fuggire. Il sacrificio finale del vecchio Re. Forse la stessa storia era accaduta nel lontano 12 dicembre 1877 quando morì David Biscarini e si salvò il Tiburzi.

La latitanza del Tiburzi era finita dopo 24 anni, il 24 ottobre 1896... il re del Lamone era morto.

Domenico Tiburzi, dopo le macabre fotografie di rito che ne accertavano la morte, fu seppellito nel cimitero di Capalbio mezzo fuori e mezzo dentro. Con gli anni, e l'allargamento del cimitero, la lapide che ricorda la tomba di Tiburzi è finita con essere in una zona quasi centrale del cimitero stesso.


e sono le ore :
Oggi è
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